Se c’è un artista che ha portato, per tutta la vita, nel cuore e nella mente, il bello del nostro paese, intrecciandone e filtrandone tutte le sfaccettature del pensiero, della cultura, della tradizione, traducendole nel suo linguaggio espressivo, nella musica, in modo altissimo questo e Franz Liszt. In Italia il compositore-pianista ungherese che nacque a Rading l’11 ottobre 1811, quando una grande luminosa cometa appariva nel cielo, interpretata dai biografi come segnale profetico della sua messianica artistica trascendenza, potè saziare la sua ardente sete di conoscenza per la letteratura, le arti visive e la filosofia. Ungherese di nascita, ma la sua educazione musicale avvenne in Francia. Nel 1823 si trasferì a Parigi e visse in quel milieu straordinario che era la città in quegli anni. Fece amicizia con Chopin. Insieme si esibirono in concerti alla famosa Salle Pleyel. In casa Rotshild incontrò Niccolò Paganini che rimase colpito dalle sue qualità di pianista e dall’inventiva virtuosistica. Anche Liszt, come Paganini aveva delle mani particolari: i pollici erano più lunghi del normale ed a loro era affidata la melodia, lasciando libere le altre dita di destreggiarsi in arpeggi e virtuosismi impossibili agli altri. Qui conobbe anche l’amore di Marie d’Agóult, donna coltissima, scrittrice evoluta, scandalosa per l’epoca, quasi come la George Sand di Chopin. Per lui, abbandonò marito (molto più anziano di lei) e i figli, per seguirlo in un vortice di passione ed arte che segnò la vita di tutti e due. Fu la fuga d’amore in Italia con Marie che permise a Liszt di vivere un esaltante periodo di crescita e creatività del suo mondo artistico interiore. Vissero insieme per molti anni, nel nostro paese, godendo della bellezza di città come Venezia, Verona, Milano, Como, Lucca, Pisa, Firenze, Roma.
Liszt era affascinato dall’Italia, lo colpiva “l’ineffabile bellezza di questa terra di luce”. Nei suoi “Pelerinages”, nel nostro paese, trovò linfa vitale, puro nutrimento per la sua passione ed intuì quanto il legame tra le diverse forme d’arte potesse ritrovarsi, in una sola altissima voce, nella sua ispirazione. “Il bello di questo privilegiato paese mi appariva sotto le sue forme più pure e sublimi. L’arte si mostrava ai miei occhi in tutto il suo splendore, si rivelava a me nella sua universalità e nella sua unità. Il sentimento e la riflessione mi convincevano, ogni giorno di più, della relazione nascosta che unisce le opere del genio. Raffaello e Michelangelo mi facevano capire meglio Mozart e Beethoven, Giovanni Pisano, Beato Angelico, mi spiegavano il Correggio, Benedetto Marcello, Palestrina. Tiziano e Rossini mi apparivano come due astri dai raggi simili”. Questa dichiarazione d’amore per l’arte italiana, queste emozioni intense, queste scoperte dei vincoli tra diversi linguaggi, presero vita nel II° volume di “Annèes de Pelerinages” dedicato a questo viaggio, condividendo amore e cultura con Marie. Così i sonetti del Petrarca (n. 47 “Benedetto sia il giorno” n.104 “Pace non trovo” etc) evocati e sublimati dall’intensità del suono virtuoso del suo pianoforte si trasformano in canto, in cui le parole, pur non presenti, arrivano direttamente al cuore di chi ascolta. Ugualmente toccarono le corde vibrantissime della sua ispirazione, la visione dello “Sposalizio della Vergine” di Raffaello e la contemplazione della scultura del “Pensieroso” di Michelangelo, sulla tomba di Lorenzo il Magnifico nelle Cappelle Medicee, tanto da premettere allo spartito, i versi dello scultore: “Grato m’è il sonno, e più l’esser di sasso mentre che il danno e la vergogna pura. Non veder, non sentir m’è gran ventura però non mi destar, deh parla basso”.
Ma anche la lettura della Divina Commedia, entra vigorosamente nell’ispirazione di Liszt che dedica a Dante una sinfonia in cui descrive, con le sue note, l’inferno, con una tale intensità da suggerire una specie di rapporto privilegiato di identità, di sensazioni col grande fiorentino. Il fascino della grande lirica italiana non poteva non toccare la sensibilità di Liszt, in questa immersione totale nel mare della nostra cultura. Sarà proprio grazie alle sue parafrasi dei brani più famosi di Donizetti, Bellini, Rossini e Verdi che si raggiungeranno tutti gli angoli d’ Europa diventando una forma di omaggio alla nostra musica. In quest’epoca, le trascrizioni erano il metodo più efficace per divulgare e far conoscere il repertorio operistico. Molti musicisti vi si dedicavano per ragioni semplicemente economiche. Per Liszt invece, l’interesse per la trascrizione nasceva, da un lato del desiderio di conoscere più da vicino lo stile compositivo degli autori e dall’altro, quello di esplorare le infinite possibilità del pianoforte in cui cercava di trasporre tutte le sonorità orchestrali. Dunque Liszt non si limita a riprodurre, ma c’è in lui una possibilità diversa da quelle della creazione pura, insieme al desiderio di divulgare la musica lirica. Anche le opere di Verdi animarono le sue trascrizioni dai “Lombardi” alle “Rèminiscences di Boccanegra” alla parafrasi di “Rigoletto” scritta otto anni dopo la I° dell’opera e che si basa sul famoso quartetto dell’atto III “Bella figlia dell’amore”. Tutte queste arie verdiane sono trattate con grande maestria compositiva, ma anche con intensa condivisione e partecipazione al messaggio musicale verdiano. Ma anche Donizetti con “Rèminiscences de Lucia de Lammermoor” e Vincenzo Bellini con “Rèminiscences di Norma” trovarono perfetta collocazione nel suo articolato discorso musicale sulla lirica italiana. Nel suo viaggio in Italia, Liszt arrivò, con Marie, anche a Firenze nel 1837 ed andò ad abitare in Via della Scala n.19. Ma tutto il periodo che passò in Toscana, a Lucca, a Pisa fu fecondissimo per la sua carriera sia di compositore che di concertista. A Firenze, dove fu accolto come una star, preceduto dalla sua fama di grande virtuoso ma anche di genio, artista bello e dannato, i suoi concerti gli decretarono clamorosi successi. Le ammiratrici, così raccontano le cronache, si vestivano da uomo per poterlo raggiungere nel camerino del teatro, suscitando le ire di Marie che ne era follemente gelosa! (lei aveva 5 anni più di lui) e che lo definiva “un po’ saltimbanco, un po’ dongiovanni…”. Amatissimo e ammirato dalla nobiltà, dagli intellettuali, dagli artisti fiorentini, tenne il suo I° concerto al teatro Standish (Via Cavour) dove strabiliò con la trascrizione della sinfonia del “Guglielmo Tell” di Rossini. Poi alla Pergola, dove incontrò Giuseppina Strepponi, futura signora Verdi. Tenne concerti applauditissimi al Teatro del Cocomero (oggi Niccolini) ed a Palazzo Pitti, sempre con programmi diversi in cui eccelleva il suo virtuosismo, la sua prodigiosa inventiva. Liszt amava Firenze e la sua luce cje toccava con raggi speciali monumenti, chiese, campanili, ma anche angoli di aurea banalità come le stradine del centro dove all’ Osteria della Luna, si era fermato ad apprezzare un buon bicchiere di Chianti. Proprio da Firenze inizia la sua grande carriera internazionale, ma proprio qui, inizia la crisi del suo legame con Marie (da cui erano nati Blandine, Cosimina e Daniel). Ma Firenze rimarrà sempre nel cuore di Liszt dove tornò spesso e dove lo scultore Lorenzo Bartolini aveva realizzato i loro due busti che ora si trovano a Weimar (dove Liszt era stato direttore del teatro) nella Liszt House. Nell’ultima parte della sua vita, sono le trascrizioni dell’Agnus Dei dalla Messa di Requiem di Verdi ed è il suo appassionarsi alla musica sacra a rivelarci la sua tendenza verso un ascetismo ed una ieraticità che preannuncia la sua decisione di vestire l’abito talare. In questi anni aveva avuto accanto un’altra donna di cultura e classe, che si era dedicata a lui con sconfinata dedizione Caroline Sayn de Wihgenstein, che per lui lasciò tutto e lo seguì a Roma nella vana speranza di poterlo sposare. Ma niente distolse Liszt dal prendere i voti di abate nel convento dei Lazzariti di Roma. Ormai, Roma era diventata la sua città e nel biglietto da visita si presentava come Abbé Liszt au Vatican. Ma la sua vena artistica regalò ancora al mondo musica sacra ed immagini sonore delle campane di Roma e dei “jeux de eaux” di Villa d’Este. Robert Schumann, a proposito di Liszt disse: “La sua vita sta nella musica”. Noi potremmo aggiungere che l’Italia, con la sua bellezza, la sua arte, la sua storia vi entrò a far parte indissolubilmente, ed a lui siamo grati per il suo “souvenir” quale migliore ambasciatore possibile della parte migliore del nostro paese.
Didascalie immagini
- Henri Lehmann (1814-1882), ritratto di Franz Liszt, 1839,
Museo Carnavalet, Parigi
(fonte) - Franz Liszt nel 1858 (fonte)
In copertina:
Henri Lehmann (1814-1882), ritratto di Franz Liszt, 1839, Museo Carnavalet, Parigi
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