Come è noto, grazie anche al contributo di Adele nel numero di agosto, da ormai oltre un mese le Scuderie del Quirinale ospitano la personale dedicata ad uno degli animi più sensibili della pittura fiamminga della seconda metà del Quattrocento: Hans Memling.

    Tuttavia la mostra Memling e il Rinascimento fiammingo ci racconta una storia molto più ampia, che non si limita squisitamente alla biografia artistica del “Beato Angelico” delle Fiandre, bensì vuole delineare in modo chiaro e approfondito che cosa realmente accadde nelle regioni fiamminghe fra la fine del XV secolo e gli inizi del XVI secolo, e le ragioni per le quali la pittura, anche se sarebbe più corretto dire l’intera arte d’Oltralpe, ebbero un ruolo centrale negli sviluppi successivi della cultura artistica del Rinascenza italiano.
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    Innanzitutto per la prima volta ci si riferisce all’arte fiamminga della seconda metà del Quattrocento come un riconosciuto “Rinascimento”; fino, infatti, agli anni Sessanta del secolo scorso, la critica ha sempre sotteso a considerare la produzione artistica di questo periodo come ancora tardo-gotica, nella sua accezione più negativa, ossia come una mancata evoluzione rispetto invece a quanto accadde in Italia.

In realtà il discorso è molto più complesso: certamente il gusto per lo sfarzo e il decorativismo erano dei retaggi provenienti dalla cultura tardogotica, ma bisogna tener conto di un altro importante fattore: il Nord Europa da sempre fu caratterizzato dalle presenza di grandi corti, fra le più ricche del Vecchio Continente, dove la civiltà del “Gotico Fiorito” prese vita. Nella nostra penisola, invece, solo dopo l’età comunale e con l’avvento delle Signorie, cominciò a nascere il concetto di corte.
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Come prontamente osservato da Till- Holger Borchet, curatore della mostra e massimo esperto della cultura figurative fiamminga del XV secolo, non sussistono dubbi che nel Quattrocento la pittura primitiva dei Paesi Bassi fosse apprezzata soprattutto presso le corti dellʼItalia settentrionale e fra le classi agiate di Genova, Venezia e Firenze, che si ispiravano ai gusti dellʼaristocrazia, ma aggiunge anche che la tesi, sostenuta in studi più recenti, che vuole lʼinteresse italiano per la pittura primitiva dei Paesi Bassi collegato in prima istanza al prestigio sociale e alla diffusa tendenza ad assimilare modelli della cultura aristocratica e cortese borgognona, è troppo limitata […]alla diffusione dellʼarte fiamminga in Italia contribuirono in misura non secondaria anche fattori di più specifico ordine artistico. Mentre i pittori fiamminghi erano corteggiati perché venissero a lavorare presso le corti italiane, gli artisti italiani a loro volta venivano mandati a istruirsi nelle botteghe dei Paesi Bassi; e i principi italiani facevano a gara per acquistare, spesso con la mediazione di agenti, i rari dipinti di Jan van Eyck o di Rogier van der Weyden.
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    Ed è proprio su questo tasto che l’esposizione preme maggiormente, ossia sui rapporti tra l’Italia e le Fiandre, nati per natura prettamente commerciale e finanziaria, che affondavano le loro radici nelle Nationes dei mercanti lucchesi, i quali fondarono le prime comunità italiane in terra fiamminga già a partire dall’ XI secolo.  La continuità dei rapporti commerciali nel corso del tempo, ha fatto sì che quelli sociali e culturali venissero curati di pari passo.

    All’interno delle varie sezioni della mostra, dopo la prima dedicata alla formazione all’interno della bottega del Van der Weyden, si affronta, appunto, il tema delle grandi commissioni italiane nelle Fiandre; presenti in mostra vi sono opere realizzate per committenti italiani, tra cui spiccano i ritratti bifacciali e parlanti della famiglia Portinari, ma anche di numerosi artisti connazionali che seppero fare tesoro dell’insegnamento della pittura fiamminga.
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   La terza sezione è stata destinata alla ritrattistica, altro punto di forza dell’arte fiamminga. I volti di questi personaggi con lo sguardo fisso che guarda sempre oltre l’osservatore, ieratici al pari solo delle icone orientali, presentano, tuttavia, degli elementi di uno straordinario naturalismo nella realizzazione delle fisionomie, e in alcuni dettagli come le mani che sporgono oltre le cornici dei dipinti, la resa, con estrema minuzia di particolari, delle vesti o degli straordinari paesaggi che si stagliano sullo sfondo. Questi principi furono quelli che stregarono Antonello da Messina, il più grande interprete italiano di questa cultura figurativa, il quale nei suoi ritratti mostra la pedissequa fedeltà ai modi della pittura di Memling.
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     La quarta e la quinta  sezione sono, invece,  dedicate ad uno degli aspetti più importanti dell’arte delle Fiandre: la pittura devozionale.
La fede, nella cultura dei popoli dei Paesi Bassi, fu vissuta con estremo travaglio in virtù anche di un’innata dicotomia culturale: un popolo di avari mercanti e affaristi ma molto devoti.

Questo senso di colpa atavico si ripercuoteva anche nell’arte, dove, soprattutto nelle scene di martirio o della Passione di Cristo, le espressioni e la drammaticità si esasperano, raggiungendo in alcuni casi l’orrore o il grottesco. Tali elementi affascinarono in modo significativo gli animi di maestri come il già ricordato Antonello, Giorgione, Leonardo, e l’ultimo Botticelli, negli anni della sua profonda crisi mistica post savonaroliana. Memling, tuttavia si mostra con dei toni più dolci rispetto al suo maestro e ai sui coetanei: in lui i volti e le espressioni si fanno più distesi, e le atmosfere più serene, come mostra il pannello centrale del Trittico Pagagnotti.  Elementi, questi, che gli valsero il titolo di “Beato Angelico” delle Fiandre.
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Centrale diventano in questi frangenti le rappresenta zioni allegoriche, di cui la più interessante è il Trittico della vanità terrena e della salvezza divina di Strasburgo. L’opera affronta il tema della caducità del corpo contro l’immortalità dell’anima, utilizzando un linguaggio figurativo aulico e allo stesso tempo raccapricciante. L’opera, commissionata dal mercante italiano Giacomo di Giovanni d’Antonio Loiani, quando si trovava a Bruges nel 1485, si divide in sei scomparti dove oltre a figure allegoriche già note quali la donna nuda allo specchio, raffigurante di Vanità e Lussuria, il Diavolo agli Inferi, e il Salvator Mundi, compaiono il teschio del “memento mori” con un passo dell’Apocalisse di San Giovanni, nel quale si descrive la fine del mondo e la sua prossima redenzione, e lo scheletro con un cartiglio a caratteri gotici, simbolo della provvisorietà della carne, ma anche della futura resurrezione nello spirito e nel corpo.
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Una mostra che apre una finestra importante su un ampio spaccato della cultura rinascimentale italiana e fiamminga, che si concentra sul riflesso che ebbe un maestro come Hans Memling sull’arte europea. Unica pecca che si può sottolineare è la scarsa quantità di opere di mano del maestro titolare della mostra, ma il percorso compensa appieno le aspettative del visitatore, al quale viene raccontata una storia ben più ampia e complessa della biografia pittorica dell’artista.    

     

Didascalie immagini

  1. Hans Memling: Ritratto di donna (frammento) 1480-1485 circa
    lio su tavola (quercia), 23,2 x 18,4 cm. Collezione Ambasciatore J. William Middendorf II.
  2. Rogier van der Weyden (e aiuti): Compianto sul Cristo morto 1460-1465.
    Olio su tavola, 111 x 95 cm. Firenze, Galleria degli Uffizi.
  3. Hans Memling: Passione di Cristo 1470
    Olio su tavola, 54,9 x 90,1 cm. Torino, Galleria Sabauda.
  4. aestro della Leggenda di santa Caterina: Presentazione al tempio 1490-1495 circa.
    Olio su tavola, 78 x 51 cm. Firenze, Museo Nazionale del Bargello.
  5. Hans Memling: Trittico della vanità terrena e della salvezza divina 1485 circa. Olio su tavola,
    60 x 66 cm (pannello centrale); 63 x 61 cm (scomparti laterali). Strasburgo, Musée des Beaux-Arts.
  6. Hans Memling: Trittico della vanità terrena e della salvezza divina 1485 circa. Olio su tavola,
    60 x 66 cm (pannello centrale); 63 x 61 cm (scomparti laterali). Strasburgo, Musée des Beaux-Arts.
  7. Hans Memling: Trittico Pagagnotti 1480 circa. Madonna in trono col Bambino e due angeli
    (pannello centrale). Olio su tavola, 57 x 42 cm. Firenze, Galleria degli Uffizi.

In copertina:
Un particolare di: Hans Memling: Trittico della vanità terrena e della salvezza divina 1485 circa. Olio su tavola,
60 x 66 cm (pannello centrale); 63 x 61 cm (scomparti laterali). Strasburgo, Musée des Beaux-Arts.

Catalogo edito da Skira

Dove e quando

Evento: Memling, Rinascimento fiammingo
  • Fino al: – 18 January, 2015
  • Sito web